La pietà inferocí Costanza, perloché furente, dicendo le piú matte cose del mondo, partí piú imbestialita di quando era venuta.
CAPITOLO IVGUIDO E FIORENZA
– Senza volerlo, ecco io sono a cognizione di tutto! – disse Fiorenza, appena fu sola con Guido.
– Di tutto? – rispose il giovine, nello sguardo profondo del quale si vide questa volta un lampo di dolore.
– Non è tutto?... c'è ancora qualcos'altro?
E Guido:
– Non solo non è tutto, ma non è niente.
– Ma quest'amore della Costanza?
– S'è sognata lei... Dio sa perché... – mormorò, troncando a metà le parole o dirò meglio il pensiero.
– Veramente pareva la fosse presa di quel Romeo, che loro restò per tanto tempo ferito in casa... si parlò di nozze.
– Appunto cosí, – continuò Guido con un sorriso di finissima ironia.
Allora Fiorenza con tutta ingenuità:
– Non capisco niente, io.
– È meglio: del resto cose semplicissime. È partito il bel Romano; senza sposo le pare non sia del suo decoro il vivere, e mi ha fatto l'onore di scegliermi a successore dell'ingrato, e rendermi forse responsabile dei torti ch'ei potesse avere verso di lei, giacché a lui lo impedirebbe la moglie e la numerosa prole.
Fiorenza levò gli occhi al cielo.
– Lasciamo là questi volgari chiacchiericci; come va la Teresa? – domandò Guido con assoluta noncuranza.
– Sempre allo stesso punto.
– Infelice!
Un silenzio successe a questa esclamazione. Pareva che non s'avessero da dir piú niente questi due, ma, scorsi alcuni secondi, Fiorenza alzò il capo, e con un sorriso, proferí pian piano:
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