– E io, – vociferò Alessandro tremante di furore, – e io che tratteneva il sentimento pel quale darei la vita, e tutto per non urtare le sue idee... io che mi sono fatto quasi uccidere per lui!...
– Per me?... potevi farne a meno. Mi importa pochissimo de' tuoi duelli: ho piú caro che tu badi a far l'ingegnere, che t'ho tirato su a ciò, e non a stroppiarti e a menar colpi da paladino.
– E dunque devo lasciarti disonorare?
– Chi... me? povero pazzo, onore il dottor Rizio ne ha da vendere.
– Dovevo lasciarti dare dell'austriacante, del codino?...
– E della spia! dilla quella gran parola. Io ti rido in faccia lo stesso. La mia vita è tale che si ride degli attacchi di qualche insensato o tristo. Se per codino s'intende: primo, che l'Austria è un gigante, e il Piemonte una mosca; secondo, ch'io sto col Governo legittimo...
Alessandro tornò indietro.
– Legittimo! – e qui, terminando col pugno in aria, e cogli occhi al soffitto l'imprecazione che doveva seguire quel gramo epiteto: – Fiorenza! – intimò. – Vai a mettere la roba in baule; io torno via, e tu verrai con me. – E bestemmiando, rovesciando scranne, e dando usciate da far tremare la casa, andò fuori di stanza.
– A questo voleva venire, per lasciarmi solo: ecco il costrutto di tante fatiche, – disse il dottor Rizio.
Fiorenza dolente seguí Alessandro.
In quella, col fido scienziato appresso, entrò il conte Lorenzo Vendrame, più cupo del solito: ora ne diremo il perché.
Spiace moltissimo riferire pettegolezzi, ma come tralasciarli, se sono uno dei tanti aspetti delle condizioni da noi descritte?
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