– Ma... – fece timidamente Fiorenza.
– S'intende!... una volta saresti stata tu a volerlo; o che c'è di cambiato, non son piú tuo marito?...
– Dicevo per non lasciarlo solo... povero...
– E ci siamo col povero vecchio... ha i suoi cari Tedeschi... non gli bastano a tenergli compagnia, a farlo beato?...
La Clelia si mise a piangere, il piccolo istessamente, gridando che restava col nonno.
– Oh! lasciatemi un po' stare... volete ch'io viva in violenza, ch'io stia qui... qui dove odio e maledico perfin un fiore se lo vedo a spuntare, volete spingermi a qualche eccesso, in nome di Dio sacrato!... già è inutile, non posso frenarmi; il dí che quest'odio mi si scema, apparecchiatemi la cassa, vuol dire che son vicino a morire...
E si coricò, desideroso d'uscire, ma trattenendosi, mal sicuro di sé in tanta agitazione, per la quale non vedeva piú lume.
Fiorenza, appena ebbe scòrto un po' in calma Alessandro, chiamò don Leonardo, e gli accennò furtiva. Egli la seguí, e andarono ad una altana, o, come la chiamano nel mezzogiorno d'Italia, a un mignano: specie di ballatojo in legno, che guardava sul giardino, e sporgeva da un lato sopra una attinenza della casa, abitata dal paron Checco e famiglia.
Era un magnifico chiaro di luna, non si sentiva un rumore al mondo.
– Che c'è, figlia mia?
– Niente... ecco, ero d'intesa colla mamma, che mi aspettasse...
– Mandala a chiamare...
– No, – disse vivamente Fiorenza, – o ci vado io ...
– Perché non ci vai?...
– Eh! come posso andarci e stare col cuor quieto?... A momenti sarà qua quest'altro serpente, e io, caro barba, non lo voglio lasciar solo con Alessandro.
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