– Ma tu sei sulle spine, cos'ha' tu, figlia mia?
– Sí, proprio...
– Ci passerò io: vado giú per di là colla timonella, giusto imbocco la strada migliore, per tornare alla mia canonica.
– Bene... allora senta... lei ch'è tanto buono, dica alla mamma che m'aspettava... perché... mi ci dovevo trovare con una persona che... insomma per una cosa importantissima... e che l'avvisi per domani... non creda sia niente di male, sa...
– Benedetta te! – disse il prete, stringendole una mano, – a pensar male di te sarebbe peccato mortale.
– Alessandro ha preso a odiare questa persona... ch'è un vero angelo, e che vuol proprio bene a mio marito.
– Lascia fare a me. A rivederci.
E il dabben prete si mosse, ma al suo orecchio, esercitato nelle confidenze del confessionale, parve intravedere un'esitanza tutta pudore in Fiorenza, e una ritrosia degna di nota nel non proferire quel nome. Di più: a quest'osservazione morale ed intima, ne aggiunse un'altra materiale ed esterna. Gli parve udire, al disotto del mignano, un rumore, un pissi pinsi, come di gente che scappi. Guardò, non vide nessuno e tacque: poi se ne andò.
Fiorenza fe' ritorno alla stanza dov'erano Alessandro e la Clelia, e dove, poco dopo, li raggiunse Daniele, il quale, al modo bieco e tutto di sicurezza, con cui la guardò, pareva meditare qualche cattiveria: almeno cosí giudicò Fiorenza, che lo disse a Clelia.
– Il povero orso non si sogna d'aver cattive idee sul tuo conto... e meditare... cosa?... sentiamo?...
A cui Fiorenza con un leggero sorriso:
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Fiorenza Alessandro Clelia Daniele Fiorenza Clelia Fiorenza
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