Quanto al luogo, presentava solo un oggetto di notevole, che attrasse l'attenzione di Fiorenza, e fu la statuina d'una bella bimba, tutta incoronata di fiori, con in mano una tazza elegante a cui guardava sorridendo, e che teneva stesa, perché vi cadesse entro l'acqua. Di certo era l'imitazione d'un concetto slavo, pel quale o sulle tombe o sui monumenti, eretti a ricordo di persone care, si suol mettere una coppa, affinché, posandovisi gli uccellini per bere, si fermino e li rallegrino colle loro melodie. Fiorenza non ne comprese il perché, ma sentí in confuso che quel posto era una specie di santuario.
Rigide fronde di abeti e di cipressi tagliavansi fuori in un bel cielo tutto cobalto e stelle: brillavano in macchie severe presso il marmo, al quieto splendore della luna, si erigevano coi rami fermi e diritti in quell'aria immota, in quella pace di sepolcro.
Tutto ad un punto un grido sinistro e quasi selvatico interruppe la benché momentanea osservazione di Fiorenza; si volta, vede il servitore bensí accorrere alla chiamata della signora, ma con esso precipitare, nella piccola spianata dove l'aveva ricevuta, un nuovo personaggio. Era questi un vecchio signore, del quale a mala pena Fiorenza potè distinguere la fisonomia: strana sempre senza dubbio, resa oggetto non so se di pietà o di derisione in quel momento, cosí un furore, scomposto e vivo, la alterava tutta quanta.
– È morto! – esclamò, – è morto!
– Non ancora speriamo; – disse la signora con un accento che parve l'ondulazione d'un'arpa, dopo note stridule e disperate.
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