CAPITOLO XVLA PROMESSA
– Ecco le conseguenze della libertà, – sentenziò il dottor Agostino, accennando minaccioso col capo.
– Io dico piuttosto della tirannía.
– In che modo?
– Oh!... non cominciate con un'altra baruffa! se no divento frenetica anch'io, – disse Fiorenza.
– Fai bene a difenderla, – mormorò il dottor Agostino.
– Vuoi forse sostenere ch'è stato prudente, che s'è condotto bene con la Teresa il signor conte? – esclamò Alessandro. – Se aveva con me qualche cosa, con me doveva sfogarsi e non con quell'infelice.
– Abbi pazienza: s'ella è infelice, anco quel povero uomo non lo è meno, – mormorò Fiorenza.
– Già voi altre donne, massime fra cognate, vi siete sempre contrarie.
E Fiorenza:
– Di me non puoi dir questo: mi pare che della pazienza n'ho tanta che basta, in famiglia. Ma vedo che anche tu non le hai mica data soverchia retta, quando ti faceva tutte quelle smorfie.
A cui Alessandro pensoso:
– Eppure soffrivo assai!... perché le voglio bene. Non pertanto era vero, l'aveva accolta freddamente. e ci aveva una ragione naturalissima nella sua freddezza. Intendo ognuno si lascia trasportare: ma, quando si tratta d'un'altra persona, v'è una specie di legge d'equilibrio, la quale avverte di moderare passioni pericolose, e che sviano dalla buona strada. Alessandro iracondo, eccessivo, mobilissimo, diveniva uomo savio in faccia al disordine della sorella. Si sentiva penetrato da un pensiero serio all'assumere la responsabilità del di lei destino. Pativa all'idea che la desse il suo nome in pascolo alle lingue cattive, e deplorando pure il mal assortito legame, avrebbe dato non so cosa purché stesse quieta a fianco del marito.
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