– E vuoi andar via?... – domandò Fiorenza, rimasta sola con Alessandro.
– Che ho da far qua?
– E ti conduci appresso la Teresa?
– Nemmeno per sogno, – rispos'egli.
– Non gli mancherebbe altro, – mormorò la Lucietta, – due spiritati compagni... guarda se pajon figli di quel padre! Basta... per oggi le burrasche avrebbero ad esser finite... la giornata è quasi al termine... a domani! – E, chetatisi tutti, la Clelia era allora tornata, si andò a coricare.
Ma poco dopo la buona donna ebbe a disingannarsi della sua, per quanto modesta e limitata, aspettativa. Fiorenza, forse scossa da tante cose, dalla memoria del misterioso fatto di Guido, dalla scena della cognata, da quelle precedenti, fu presa anch'ella da un assalto di nervi (son mali contagiosi) pel quale, svegliato Alessandro, cadde in tali convulsioni e spasmo che destarono in famiglia qualche apprensione.
Questo male, appena cessati i gridi, si cambiò in incantesimo, in una specie di catalessi. Alessandro vedendo la sua sposa in quello stato, pallida d'un pallore mortale, cominciò a chiamarla con quanto avea di fiato. Oltre alla Lucietta si svegliarono il dottor Agostino e la Clelia. Fu chiamato il medico, accorsero fin le vicine.
Un poco alla volta Fiorenza si rimise in calma.
– Cos'è?... cosa ti senti?... – mille domande.
– Non so nemmen io: un'oppressione al cuore.
Quindi sollecitò ognuno a ritirarsi; ultima partí la Lucietta brontolando:
– Se impazzisce anco la signora, qui non ci reggo! eh! no davvero, chè ci perdo l'anima!
Il giorno appresso Fiorenza stette a letto, piú perché ve la tennero gli altri, impensieriti del suo male, di quello che per propria elezione.
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