Alessandro, nel veder Daniele, provò un momento di rammarico, e gli andò incontro come uno che ha da dire una cosa ingrata, per colui che la proferisce, come per chi la intende...
– Che c'è? – disse Daniele, guardando con occhio torvo all'uomo da cui pareva s'aspettasse un brutto annunzio.
– Sai, ho cambiato pensiero... almeno per adesso: non c'è niente di buono da fare nemmen via di qua.
– Nemmeno a Venezia? – domandò a bassa voce, con simulata iracondia, Daniele.
– A Venezia meno che in qualunque altro luogo. Dopo Novara ha poco da sperare. Resiste, fa bene; ma andarci là adesso, è portarle un peso, darle un mangiapane di piú, per nulla.
– Ho capito: ti sei lasciato metter su dalle donne: la piagnona della moglie ha vinta la causa.
– Può darsi: – rispose sforzandosi a parer tranquillo Alessandro, ma nel quale quel sentimento di compassione provato al primo veder Daniele, cominciò ad alterarsi.
– Cosa fare, – continuò Daniele, – con pecoroni simili, che si lasciano imporre dalle femmine: femmine che sanno darla a intendere... con moine e lagrimuccie? – Qui sorrise amaro.
– Oh!... sai cosa t'ho a dire? – esclamò Alessandro imbizzarrito... – che la è mia moglie; che la mi fu quasi a morte jeri notte... e che non posso lasciarla... tu mi vorresti trascinar via: par che ti dia fastidio vedermi un po' quieto in seno della mia famiglia!
– La famiglia!... – esclamò Daniele come se nominasse un oggetto di schifo, – bell'arnese da ricostituire i popoli, e rialzar la dignità dell'uomo libero... se lo dico io, fin che non viene un ottantanove non si fa nulla.
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