– Sa' tu, per fargli passar l'odio non basta l'educazione, bisogna che tu gli dia quell'argenteria, e poi tutto quello che abbiamo.
– Oh! cosa ti pensi? a un filosofone di quella specie?
– L'argenteria bisognerà darla non a lui, ma al Governo, – rispose il dottor Agostino quietamente, solennemente, facendo saltare i grani di tabacco dalle gale dello sparato, come usava spesso.
– Al Governo?... perché?... – saltò su Alessandro.
– Perché quando c'è una requisizione militare bisogna dar la somma che vogliono: e quando non c'è la somma, bisogna trovarla. Comanda chi può, obbedisce chi deve.
– E... noi... non la si ha questa somma?
– Noi?... ringraziar Dio di non indebitarci, – disse il suocero di Fiorenza. È stato un certo annetto! Guerra, ospiti, amici e nemici, esigli, imposte sovra imposte. Gli altri fanno i sogni, a me tocca pagare il conto. Basta che si fermi là, – concluse il vecchio furbo, con una compunzione apparente, ma sapendo quanta acqua gettava su certi fumi poetici!
– E che somma vogliono codesti cani? – dimandò Alessandro, tutto sconvolto da quella notizia.
– Mille fiorini... a vederli coprono quel tavolo, altro che scherzi! – disse pacifico il babbo Rizio, che additò una mediocre tavola, su cui tutti fissarono gli occhi come se ci vedessero su, pietosa mostra, i mille fiorini.
– Cosí è; intanto andiamo, il riso è in tavola.
– Ci sei stato da Guido? – disse Fiorenza ad Alessandro.
– No.
– Me l'avevi promesso!
Ed egli:
– Ci andrò; ci andrò; – rispose con un certo fare svogliato, ma copertamente iracondo.
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