Fiorenza tacque.
– Ho veduto il suo medico, – soggiunse poco dopo Alessandro. – Non mi ha detto niente; segno che non c'è di gran malanni.
– Il suo medico? – chiese Fiorenza.
– Sí, il solo che ci va per casa, – disse Alessandro.
– Guido è malato? – domandò il vecchio. – Ci andrò io stesso, – mormorò quindi con viva premura.
Nessuno fiatò, e si misero a pranzo.
CAPITOLO XVIIIL'IMPROVVISATA
Il qual pranzo passò abbastanza tranquillo. Fiorenza convalescente: cose famigliari da occuparsi: il trasporto al casino di campagna nella prossima primavera, se i soldati cedessero il luogo, e cose simili. Gli aquiloni urlanti, da sí lungo tempo, parvero ammansati; e parve comparire a galla, se non l'affetto domestico, almeno la tolleranza.
Terminato il desinare, ecco una piccola emergenza: la quale ancora piú portò gli animi a miti disposizioni.
Il conte Lorenzo Vendrame mandò a vedere come stesse Fiorenza, e ad offrirle la carrozza, per fare la trottata. La Teresa essere allo stesso punto di prima: non in migliore stato, ma non in peggiore.
Dapprincipio Alessandro volle respinta l'offerta: poi, osservandogli Fiorenza che sarebbe segno di ostilità, accettò. Fiorenza ne fu lieta, o se ne mostrò, e indusse Alessandro ad accompagnarla.
– E dove si va?
– Andiamo dalla marchesa Bel Colle, – disse la Clelia.
– È alla sua villa? – domandò di nuovo Alessandro.
Fiorenza manifestava qualche dubbio... la marchesa... in mala vista della Polizia, non per lei, ma pel figliolo, cosí scatenato liberale, italianissimo; via da mesi e mesi: a quel momento a Venezia e sempre a combattere.
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