– Oh! e laggiù a Venezia come sono? – domandò Alessandro.
– Son la piú parte costituzionali, pel Piemonte, ma già contano poco... e poco ne so dei fatti loro... io sono democratico!... – aggiunse con un brio furioso: – ma quando ei stian per noi, gli voglio subito bene... e questa marchesa...](1)
– Andiamo dentro dalla marchesa, – disse la Marietta, – e ricordatevi che siamo in casa sua.
Allora tutti di conserva s'avviarono. Al loro ingresso la marchesa si fece ad essi incontro, con quel garbo tutto cortese e da vera gentildonna che la distingueva.
Alla Marietta la univa il comune dolore d'un figlio in guerra: ma nemmeno con lei si buttava via: buona, d'una amorevolezza sostenuta, che non avea bisogno di dir nulla per avvisare – fin là e basta.
Oltre alla marchesa trovarono nella sala terrena altra gente: vecchi amici della signora, e qualche giovane compagno del marchesino: e tutti venivano a distrarla e farle dimenticare le sue angoscie materne.
Angoscie dimostrate anco quelle con riserbo, e senza perdere il matronale decoro. Fuori si faceva un gran parlare del suo pianto: là nessuno se ne sarebbe accorto. Un orologio, era la casa; servitori in livrea, servizi splendidi, una certa amabile etichetta, un grand'ordine.
– La è stata piú fortunata di me la signora Marietta, – esclamò la marchesa rivolta a Fiorenza. – Il figlio suo l'è venuta a trovare: il mio non la cerca nemmeno, quella strada...
E la Marietta:
– Oh! signora marchesa, – interruppe – non le auguro di queste fortune... se sapesse.
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