– urlò Salvatore... – e poi c'è l'Inghilterra... e poi... già di politica non m'intendo, o non ne voglio sapere. So che li ricacceremo alle loro selve, e tanto basta.
– Badarvi a voi altri... – lo interruppe la Marietta, che tremava, e sudava a ogni parola del figlio.
– Oh! Dio! queste mamme insieme ci fan disperare – disse Salvatore.]
– Guardate! – esclamò quel signore accennando di lontano, perché molto lungi si spingeva la vista di quel palazzo, piantato sull'alto.
– Cosa c'è?
– Guardate.
Guardarono dunque, e sulla strada maestra, nastro bianchissimo perduto fin dove si poteva scorgerlo, videro un lungo traino; da vicino, si distinguevano i carri, da lontano pareva una striscia nera; lunga, lunga; ora dritta, ora curva, qua e là interrotta; come la pelle d'un serpe, a cui mancasse qualche anello.
– Quanti cannoni! – esclamarono tutti, e, usciti sopra un terrazzo, che dominava allo intorno, stettero fermi a vedere il passaggio, per quel fascino della curiosità, che ci chiama, a contemplare gli oggetti di dolore e di rabbia.
Dritto scendeva il lungo traino sulla strada della Germania: trasportavano, senza dubbio, artiglierie per continuare piú accanito che mai, e stringere l'assedio a Venezia, cinta già da parallele profonde. Procedevano in quel convoglio attrezzi militari di ogni genere: arnie, immensi cannoni: intieri equipaggi da ponti; barche, frugoni, munizioni; arnesi di guerra da non finirla piú. Procedevano lenti, a balzi ed a scosse; guidati da artiglieri a cavallo in uniforme color marrone, mostre rosse, calzoni turchini.
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