Andavano innanzi pesanti, tutti compagni; faccie camuse, occhi senza vita, gente a cui nel pigro pensiero non entra che una cosa. Che son partiti da un sito e giungeranno allo stesso modo in un altro, perché l'imperatore lo comanda. Ritti sui loro magnifici stalloni di Mecklemburgo; acconsentendo, fermi come centauri, alle mosse dei cavalli: silenziosi, fuori che in qualche rara occasione, quando abbisognasse ad una frustata l'ajuto d'un grido rauco, fatto apposta per essere inteso da bestie.
– Quelli menan giú nespole, destinate a noi, – disse Salvatore.
–Purtroppo! –gridò la Marietta, rabbrividendo.
– Ih! che casi!... per quattro cannoni che passano – cominciò Alessandro.
Salvatore lo interruppe:
– Oh! sapete cosa?... tralasciamo di guardarli, son belle faccine da star là in contemplazione davanti ad essi. Non mi partii dai forti, di dove li posso mitragliare, per venirli a mirar da un giardino.
E tutti rientrarono.
CAPITOLO XIXL'OASI
Ma anco rientrati, quel passaggio li incomodava.
Giunto ormai vicino, sentivano lo scotimento di quell'enorme peso, che faceva or più, or meno tremare la sala, e rimbombava nell'anima, come un cupo spavento.
A Salvatore venne in mente un'idea luminosa:
– Cantiamo un coro.
– Eccolo co' suoi cori!...
– Già la mia vita è cantare.
Qui sorsero due partiti. I vecchi pel no, i giovani pel sí. La marchesa contenendosi diplomaticamente, faceva le viste di non accorgersi della discussione, e parlava con altri ospiti, anch'essi neutrali in quel diverbio. Tant'è tanto vinsero i giovani: detto fatto, ci fu chi si mise al pianoforte, e preso gli accordi; fu intonato e cantato un bellissimo coro.
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Mecklemburgo Salvatore Marietta Alessandro Salvatore Marietta
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