Parole che furono un balsamo al cuore del vecchio, il quale senz'altro si ritirò. Cosí intendeva di fare anche Fiorenza, debole dalla sofferta burrasca, quando le fu annunziata una visita. Visita stata in sua assenza, ma che non aveva voluto lasciar detto chi fosse. Fiorenza ordinò che si introducesse, e andò ad aspettarla nella stanza da ricevere, dove pochi istanti dopo fu condotta la signora del "castello deserto". Era vestita se non di nero, di colori oscuri, sul capo teneva un velo denso, l'abito, di taglio piuttosto vecchio, pure, e per la semplicità e per l'innata eleganza di chi lo portava, poteva parere in ogni tempo di moda. Il tutto assai confacevasi a quella bellezza grave ed ideale; all'attitudine d'una persona che, muta spettatrice della giovinezza e della vita, passava come ombra dolente, rinchiusa nell'inaccessibile mondo delle sue memorie.
– Ella qua! – esclamò Fiorenza, correndole incontro.
– Sí, la cosa è strana, ma son io, – disse con tutta dolcezza la visitatrice.
– Mio suocero si preparava, non potendo io, di venir lui a informarsi di Guido.
– Guido sta meglio, – rispose la signora, – ma non mi mossi per Guido. – Fiorenza la guardò. – Io mi mossi per voi.
– Per me? – chiese Fiorenza.
– Per voi! Ho alterata un'abitudine, ho infranto un voto... Son degli anni, – soggiunse, con espressione di pacata malinconia, la signora – son degli anni che non esco di casa... – e qui s'arrestò un momento, ma tosto riprese: – Guido, fin da quando fu portato a letto, venne côlto da gagliardissima febbre, che gli durò fin poche ore sono.
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