Là giunta, e chiuso l'uscio, gli riportò l'ambasciata della dama.
– Che strana vicenda! – esclamò Alessandro. – Vedi e qualcuno pretende che Guido possa e voglia perdermi, e che sian tutte commedie le sue.
– Perché?... – domandò Fiorenza, fissando il suo sguardo limpido e mite in quello d'Alessandro.
– Perché... non te lo voglio dire...
– Oh! io lo so... me le immagino le insinuazioni, e anche da chi partono.
– Oh! no... sai... – esclamò Alessandro che, per una segreta predilezione a Daniele, non voleva accrescere l'odio di Fiorenza verso di lui.
– L'eroe si degna di esser pettegolo – esclamò la sposa d'Alessandro; – ciò non è punto degno di un Mazziniano. Ho inteso a dire che son uomini grandi, illusi se vogliamo, utopisti, ma grandi. Non vorrei il Catone si cambiasse in un volgare mettimale di farsa.
– Veh!... veh!... basta che c'entri quel povero orso perché la s'infochi tutta, e non si contenga piú... e tutto perché offende Guido!
– E tu cosa dici?... – domandò Fiorenza con dolcezza.
– Io?... fo pochissimo caso delle parole che ha proferite in delirio – aegri somnia... e a questa premura che potrebbe nascondere... no... no – irruppe – gli vo' credere, e domani andrò a ringraziarlo in persona... e tu cosa dici?
– Ah! io dico che, in questo momento, tu mi appari un dio.
– No! la calunnia non trova eco nel mio cuore... però non posso odiare nemmeno Daniele... per te l'ho allontanato da casa; io potrò supporlo invidioso... ma ci ho una fede inconcussa nella sua onoratezza... Guai se cosí non fosse!
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