Voglio dire che il generale austriaco non si rimoveva dal voler fucilato Alessandro, e pochissimo tempo restava perché la sentenza venisse messa ad esecuzione, quando a un'ultima preghiera, a un ultimo scongiuro, e alle lagrime di tutta la famiglia, piú commoventi d'ogni parola, era parso che il fiero duce si cominciasse a piegare. Ma questa non equivaleva a certezza e appena, appena a speranza.
Due emergenze fecero propendere alla vita la bilancia, che dianzi piegava alla morte. La prima fu la comparsa di Franz, il fornajo, venuto con sua moglie, la signora Cattina da Noale, a supplicare pel suo liberatore.
Già del rammemorare quell'atto nobilissimo si eran valsi i parenti, ma con poco frutto. Altra cosa fu quando il generale vide proprio l'uomo, udí le circostanze, la parte sublime di Fiorenza, e tutto il resto.
La seconda fu una nuova comparsa. Quella di Guido, il quale, affranto dalla malattia sofferta, venne, parlò lui, in segreto col generale, e gli svelò come l'accusa partisse da Daniele, cugino d'Alessandro, educato dal dottor Agostino, e beneficato dallo stesso, e aggiunse insomma quanto occorreva a spargere l'abbominio sull'infame traditore e la compassione sui traditi. Di fatto, coi confronti e colle indagini, si venne ad acquistare una certezza di cui la fuga del vile dava già il sospetto. E poi Guido, non mi domandate come, era giunto a saper tutto ciò che da lungo tempo egli sospettava. V'erano affigliati di società segrete dovunque, perfino nella polizia. Ampia congiura della quale mai il governo riuscí a scoprire il bandolo, benché molto sudasse a scoprire i comitati: mentre era, si può dire, un comitato solo!
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