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      ICONCLUSIONE(2)
     
      Italia sono misera chiamataCon le man zonte e lagrimosi occhi
      Pietà vi prenda...
     
     
      Di Salvatore a Clelia.
     
      Agosto 1849, Venezia
     
      Ti scrivo questa, ch'è la terza, dacché non mi rispondi e lo faccio senza speranza che ti giunga. Questi nostri carissimi ci tengono stretti, stretti e poca gente si perita a passare: io sí che passerei senza paura, ma non senza rimorso, e ti dico la verità che per quanto io muoia dalla voglia di veder la mia povera mamma e te, io non mi allontanerei un momento per tutto l'oro del mondo. Veramente sono in uno stato deplorabilissimo, esco dall'ospedale mal concio dalle febbri, prese sui forti...
      Un altro che ne fa pochissimi complimenti è il colera; le bombe che quel «boja di talento» ha trovato modo di farci giungere fin nel cuore di Venezia, non sarebbero quelle no, per cui ciurlasse nel manico questa popolazione eroica. È il maledetto colera. Io non n'ho paura, puoi credere, ma la gente, le famiglie se ne dànno un po' di pensiero. La donna dove sto di casa dal vedere al non vedere in meno d'un'ora se n'è andata e bisogna ch'io cambii d'alloggio. Fin che mi rinfranco un tantino, ché appena io mi reggo, e prima ch'io torni a combattere ci vorrà; perché questi mangiari sono di poca fazione, e mi comincio a persuadere d'esser nato sotto alla costellazione della fame. Immaginati che un qualche ajuto lo avevo dal santolo di Rocco... sai, te n'ho parlato? Se no, lo faccio adesso a modo di necrologia. È morto anco quello! Questo santolo era un ometto che valea tant'oro, in simili contingenze.


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La rivoluzione in casa
di Luigia Codèmo
pagine 354

   





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