L'idea-valanga s'è già staccata dal vertice, e seguirà fatalmente il suo corso. O unirsi ad essa o rimanere stritolati nel fango. È la Storia che passa.
M. Rapisardi
I.
PRIME ARMI DEL SOCIALISMO IN SICILIA.
Dopo le elezioni politiche generali del 1890, e più ancora dopo quelle del 1892, la stampa che rispecchia le tendenze, i bisogni e i timori delle classi dirigenti italiane, gittò un grido di allarme, additando una macchia grigia sulla carta geografica d'Italia, che rappresentava la zona dove maggiormente si era rivelato potente per numero di adepti e per organizzazione il socialismo. La macchia era più scura nel Modenese, nella provincia di Reggio Emilia e di Parma; ma si manteneva abbastanza cupa in alcuni punti della provincia di Cremona, nel Mantovano, nel Polesine ecc., mentre si era rischiarata nel più antico centro di diffusione: nelle Romagne.
Giovani ardenti, colti, instancabili nella propaganda, sinceri nella fede, come Berenini, Agnini e Prampolini erano venuti in Parlamento da quelle zone ed era significante assai che il secondo fosse riuscito contro il generale Gandolfi, che pure, a parare la sconfitta, nel suo programma e nei suoi discorsi molte dichiarazioni in senso socialista aveva fatte.
Allora pochi o nessuno avevano dato importanza a ciò che avveniva in Sicilia, non ostante la doppia elezione dell'amico G. De Felice, non ostante l'onore delle quattro candidature, che mi toccò nel 1890 e la vittoria che ebbi allora e nel 1892. Non senza fondamento questi due ultimi avvenimenti furono spiegati collo intervento di alcuni fattori, che attenuarono sensibilmente la importanza del contributo che vi aveva apportato il socialismo.
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