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Mi associo di tutto cuore alla osservazione del Comitato promotore, che vorrei vedere tenuta nel dovuto conto da coloro che credono nella generosità del governo italiano verso la Sicilia. Però devo notare che la valutazione dei beni dell'asse ecclesiastico fatta dalla relazione dei grandi proprietarî - secondo i dati fornitimi gentilmente dal Comm. Simeone, direttore generale del Demanio - è troppo esagerata.]Coll'incameramento e col censimento eseguito con criterî fiscali, dal punto di vista sociale il progresso fu poco, perchè alle corporazioni nelle proprietà della terra si sostituì a poco a poco il grande proprietario, checchè ne abbia pensato il Prof. Corleo, ch'era un poco interessato a difendere il modo come s'era praticato il censimento; il competente Prof. Basile, anzi, arriva a dire, «che si sono vendute tutte le terre appartenenti una volta alle manimorte e sono state acquistate da proprietarî oziosi, da far comparire manivive i monasteri di una volta.» (La quistione dei contadini in Italia. Messina 1894).
Dal punto di vista economico l'isola subì tutte le conseguenze dell'assenteismo; poichè il prodotto della terra e del lavoro - in gran parte sotto forma di canone - emigrò tutti gli anni al di là dello stretto per essere consumato a Roma e nell'alta Italia, dove per ragioni geografiche, politiche e militari lo Stato spende una somma maggiore di quella che vi esige.
L'assenteismo - quest'altro male caratteristico dell'Irlanda - generato dal governo in Sicilia, si complica per dato e fatto di alcuni privati, che vi hanno grandi possessioni - Duca d'Aumale, duca di Ferrandina, duca di Monteleone, Principe di Trabia, Principe di S. Elia, Principe di Belmonte, ecc.
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