Il sacerdote Genovese la osservazione generica volle dettagliare per un sito da lui esattamente conosciuto. Egli scrive: «Il comune di Contessa Entellina, in provincia di Palermo, ha un agro di circa 9000 salme di terra (la salma di Contessa corrisponde ad ettari 2,67). Ebbene, quante ne possiede la generalità dei suoi tremila abitanti? Appena 300 salme: precisamente il 3 % di tutto il vasto territorio! E le altre 8700 salme? Non è d'uopo dirlo: eccetto una minimissima porzione spettante a pochi altri piccoli proprietarî, sono tutte possedute da non più che venti benestanti, tra principi, conti, baroni e cavalieri!» (La quistione agraria in Sicilia, Milano 1894).
Il caso di Entella è quello di cento altri comuni; e in qualcuno - ad esempio Terranova, Siculiana, ecc., ecc. - la concentrazione della proprietà in poche mani è maggiore.
Si avverta altresì che la qualifica di proprietario in Sicilia come in Sardegna spesse volte non è che una ironia. Si tratta di proprietà polverizzate o si limita alla proprietà di un lurido tugurio, che serve di abitazione e che non ajuta a vivere. I più di questi proprietarii, osservò l'on. Damiani nel volume dell'Inchiesta agraria dedicato alla Sicilia, sono da considerarsi piuttosto come proletarî.
Sono invero una realtà indiscutibile tutte le tristi conseguenze della esistenza della grande proprietà, del latifondo; conseguenze varie e complesse politiche, economiche, morali, e intellettuali.
«Il latifondo, osserva il Baer, mantiene e conserva una deplorabile dissonanza fra le istituzioni politiche ed amministrative e fra la legislazione civile, che la Sicilia ha comuni al resto d'Italia e le condizioni reali di quella società e della proprietà territoriale.
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