Questo perdurare di un regime feudale, di fatto persistente sino al 1860, si spiegò colla mancanza del soffio della rivoluzione francese, che non arrivò in Sicilia aggiogata al dominio borbonico dalle armi inglesi, anche quando le armate della repubblica, dell'impero e di Murat erano pervenute sino allo stretto di Messina nel continente. Più esattamente dovrebbe dirsi che a spiegare il fenomeno bisogna rimontare ancora più in alto: la maggiore durata del dominio feudale nei rapporti sociali informati alle istituzioni feudali non fu esclusiva della Sicilia, ma più o meno si constatò anche nel continente meridionale, dove la reazione contro lo spirito della rivoluzione francese fu cosa davvero spontanea e popolare. I fasti delle orde del Cardinale Ruffo e la resistenza vigorosa delle Calabrie sono noti. Il vero è che il soffio della rivoluzione in Italia fu vivificatore dove il terreno era preparato; e lo era in tutto il settentrione e nel centro e non nel mezzogiorno e in Sicilia ch'erano rimasti sotto il giogo monarchico e feudale, mentre il resto della penisola aveva avuto la splendida efflorescenza repubblicana del medio-evo.
Dopo il 1860 la situazione non venne mutata gran fatto e se ne hanno testimonianze numerose di osservatori spassionati e autorevoli, tra le quali credo bastevole ricordare quella dell'on. Sonnino, e pel merito intrinseco del libro in cui venne registrata e per l'autorità che viene allo scrittore dal posto che occupa attualmente.
L'attuale ministro del Tesoro riferendosi ai rapporti tra contadini e proprietarî (che si possono intendere anche esistenti tra industriali ed operai, tra coltivatori, picconieri e carusi delle miniere, tra galantuomini - come chiamansi generalmente i membri dell'aristocrazia e della borghesia - e artigiani e lavoratori di ogni sorta) così scriveva nel 1876:
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