«Nelle relazioni tra il contadino e il proprietario molto è rimasto ancora dei costumi feudali; e non è da sorprendersene ove si pensi che il feudalismo in Sicilia fioriva ancora in tutta la sua pienezza al principio di questo secolo, e che la sua abolizione legale nel 1812, completata colle due leggi del 2 e 3 agosto 1818, non fu nè provocata, nè accompagnata, nè seguita da alcuna rivoluzione, da alcun movimento generale che mutasse d'un tratto le condizioni di fatto della società siciliana. Quella che era stata fino allora potenza legale, rimase come potenza o prepotenza di fatto, e il contadino, dichiarato cittadino dalla legge, rimase servo ed oppresso. Il latifondista restò sempre barone e non soltanto di nome: e nel sentimento generale la posizione del proprietario di fronte al contadino, restò quella di feudatario di fronte a vassallo. (I contadini ecc., p. 175).
Dal 1812 in poi, e sopratutto dal 1860, prese maggiore sviluppo la borghesia, che reclutò i suoi membri più potenti nella classe dei gabellotti; ma in Sicilia generalmente questa borghesia non rappresentò un elemento antagonistico dell'aristocrazia, e invece - priva delle alte idealità e delle benemerenze di quell'altra borghesia che illustrò le rivoluzioni medioevali nel settentrione e nel centro d'Italia, e la grande rivoluzione del 1789 - essa pose ogni studio nell'imparentarsi coll'aristocrazia, nel rendersi degna della sua stima e della sua considerazione: in fondo la borghesia terriera siciliana si rivelò una specie di sorella minore dell'aristocrazia, e l'una e l'altra gareggiarono nell'opprimere le classi inferiori.
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