- Fu allora che il sottotenente esclamò: «Allontanatevi o sarò costretto a dare ordine di caricare le armi». I più vicini tornarono indietro, il presidente del Fascio alla contadina che portava il ritratto del re disse: Suruzza, jamuninni vasinnò nni sparanu (sorella, andiamo se no ci sparano). E quando tutto volgeva pel bene, una fucilata sinistramente risuonò. Fu questo il segno dell'eccidio, sparano i soldati, sparano i carabinieri e le grida disperate e i lamenti dei feriti, il pianto di tutti resero lo spettacolo selvaggio e commovente. Anche i poveri soldati spaventati corsero come forsennati per la campagna.
Allora, seminata la via di feriti, la folla uccide il messo comunale che, sogghignando, mostrava il suo compiacimento per tanti caduti.
Chi ordinò il fuoco? donde partì la prima fucilata? Le voci più disparate corsero in proposito, ma il mistero non fu svelato. Il generale Corsi che solo di questa strage fa cenno - forse perchè il suo animo mite rifugge dalle scene di orrore - narra seccamente: «Fu caso, fu disgrazia. Una massa di gente di un pacifico paesello, rumoreggiante, inebbriata della sua audacia medesima, si serra addosso ad un piccolo drappello di soldati, spinta da tergo da chi non vede il pericolo; nessuno comanda il fuoco; ma il fuoco scoppia perchè i soldati stanno per essere travolti. La stampa ne fa gran rumore in Sicilia, in tutta Italia; si scrive che la truppa ha tirato freddamente sopra un popolo festante; non si vuole vedervi altro che una strage d'innocenti.
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