Ma ciò che chiedevasi con maggiore insistenza erano le dimissioni del sindaco e del consiglio; cosa che non potevasi ottenere, come disse il capitano, perchè il sindaco di dimissioni non voleva assolutamente saperne!
Nel giorno dell'eccidio il municipio era occupato militarmente e il capitano trovavasi nella sala del Consiglio, mentre la folla appressavasi gridando come sempre: Abbasso il Sindaco! abbasso le tasse! abbasso il consiglio comunale! Erano circa tre mila persone con alla testa la bandiera del Fascio, che fu issata al balcone della casa municipale dov'erano riuniti il Capitano Macchi, il sindaco e molti altri che discutevano sui provvedimenti da prendere.
Ad un tratto comincia il fuoco contro la popolazione inerme: quattordici caddero morti immediatamente. Non vi furono squilli di tromba e i soldati spararono sulla folla a bruciapelo. Il numero dei feriti fu grandissimo e non potè esser mai esattamente constatato perchè tutti si nascosero, sapendosi che anche i feriti gravi venivano arrestati e condotti a Trapani: ad un certo Tramonte fu amputato il braccio nelle prigioni di Trapani e gli si negò di poter rimanere a casa guardato a vista.
Compiuta la strage i soldati - per ordine del Capitano Macchi, che rapidamente discese dalla casa comunale appena sentì le fucilate - si ritirarono, e Gibellina rimase in balía del popolo giustamente esasperato. Fu allora che venne ucciso a sassate ed a bastonate il povero pretore Casapinta, ch'era stimato da tutti e che si era cooperato ad impedire la catastrofe; ma ciò avvenne per isbaglio, gli addebitarono il comando del fuoco, essendo stato scambiato pel delegato di Pubblica Sicurezza, Vincenzo Trani, che alle antiche aveva aggiunto nuove ragioni di odio contro di sè.
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