Ma neppure sul continente dove nel Benzi si era andato a scovare un complice, si potè colpire un clericale o un prete e in tanta libidine di arresti e di processi non si arrestò e non si processò quell'avv. D'Agata, da Catania, che - secondo la polizia - era servito da pericoloso intermediario tra il De Felice e i clericali del continente! Nei processi, adunque, non si trovò e non rimase traccia dell'azione dei preti e del clericalismo nei moti di Sicilia. Quando la polizia accenna a sospetti su qualche prete, come sul Di Lorenzo di Gibellina, in essi vede uomini senza il menomo colore politico ed impegolati sino alle ciglia nelle ire e nelle contese dei partiti locali. E se qualche prete viene innanzi i tribunali militari, come l'Evola di Balestrate nel processo De Felice, depone contro i Fasci.
Con questa ultima e decisiva constatazione si potrebbe por termine ad ogni discorso sull'azione e sulla responsabilità del clero. Il clero, però, manifestò apertamente il proprio pensiero sui casi di Sicilia e giova in questa occasione e in questo punto, esaminarlo per una doppia ragione. Una è particolare: per vedere ciò che esso dice sulle condizioni dei lavoratori dell'isola e sulle cause che l'indussero a tumultuare; l'altra è generale: per conoscere quali sono le sue vedute sul socialismo e se esso segue l'indirizzo, che altri sacerdoti cattolici e protestanti hanno preso in altri paesi di Europa e di America.
Tra le manifestazioni pubbliche del basso clero siciliano non ho conoscenza, che di una sola, dell'opuscolo di un modesto prete di Contessa Entellina, già citato, il Genovese (La quistione agraria in Sicilia). Nel suo breve scritto c'è equità e c'è conoscenza esatta delle condizioni economiche delle varie classi dell'isola; ma non c'è pretensione alcuna, non assurge a considerazioni di ordine generale, nè si lascia trascinare ad inveire contro i vinti.
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