E dire che la temperanza del giudizio e del linguaggio era più che in altri da attendersi in monsignor Blandini che stoicamente aveva esclamato: è da sciocco lamentare la tristizia dei tempi, quando, al dire di Sant'Agostino, tempora nos sumus!
L'arcivescovo di Palermo, monsignor Celesia non volle esser da meno dei suoi inferiori e sferzò anche lui i mestatori anarchici o socialisti - che per lui sono tutta una cosa! - e se la prese anche colla soppressa Giustizia sociale.
Di che il generale Morra di Lavriano e della Montà gli si mostrò riconoscente, e appena pubblicata la pastorale si recò al palazzo arcivescovile a ringraziarne l'autore mentre l'on. Crispi probabilmente incoraggiava qualche onoranza a Giordano Bruno.
È strano che i vescovi siciliani - interpreti e seguaci di quelli del continente - abbiano tenuto un linguaggio ed una attitudine cotanto diversa da quella tenuta da illustri cattolici e da eminenti prelati stranieri - da monsignor Ketteler al canonico Maufang, dall'abate Hitzig al prete Mac Glynn, dal De Curtius e Lamoignon, a tutti gli scrittori, laici o ecclesiastici, dell'Association catholique(81).
Di questa diversità è bene addurre alcune testimonianze scegliendole tra le più recenti. Così il Mac Glynn curato cattolico di New-York e seguace di Henry George, nel 1887 all'invito del suo vescovo di moderare la propaganda rivoluzionaria rispose: «ho sempre insegnato e insegnerò sempre nei miei discorsi e nei miei scritti, sino a quando vivrò, che la terra è di diritto la proprietà comune del popolo e che il diritto di proprietà individuale sul suolo è opposto alla giustizia naturale quantunque sanzionato da leggi civili e religiose.
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