Grande è la colpa delle classi dirigenti per la loro fanatica resistenza alle riforme e alle concessioni, e dove esse contribuirono ad eccitare gli animi per i loro fini partigiani, si mostrarono di una fenomenale ignoranza sulle condizioni psicologiche delle folle, prodotte da quelle economiche ed intellettuali. Esse accesero l'incendio, ma non credevano che tanta materia vi fosse da farlo divampare terribilmente; si videro sorpassate nelle intenzioni e si spaventarono della lava che minacciava travolgere tutto e tutti. Ond'è che in più luoghi, nell'ora del pericolo, tornarono elementi di ordine, si riconciliarono coi nemici della vigilia e si misero a disposizione del governo e abbandonarono gli alleati popolari, quando non li poterono più condurre a loro libito. Così a Lercara, ad esempio, i popolani che insistevano nelle dimostrazioni credendosi spalleggiati da una casa potente - che avrebbe saputo impedire l'uso della forza contro di loro - imprecarono ai vili, che li avevano traditi.
Nell'ora suprema l'ignoranza e l'egoismo delle classi dirigenti non furono uguagliati che dalla loro paura; ed esse non seppero neppur tentare di opporre una diga morale e materiale alla marea sormontante. Ogni speranza di salvezza riposero nel governo, da cui - come in più luoghi dimostra il generale Corsi - tutto attendevano e con questa assenza di ogni loro iniziativa si rivelarono indegne di un libero regime. Sicchè è forza convenire che la responsabilità enorme del governo negli avvenimenti di Sicilia non è pareggiata che da quella delle classi dirigenti.
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