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Quanta fosse la indipendenza di questi funzionarî-testimoni si può detergerlo dal caso occorso al Comm. Bondi, ex-prefetto di Catania e Messina: egli fu messo a disposizione del ministero per punirlo, si dice, di avere deposto in parte favorevolmente agli accusati.
Tra i testimoni a difesa stanno deputati di ogni colore - da Pierino Lucca a Prampolini, da Imbriani a Tasca Lanza, da Cavallotti a Paternostro, da Florena ad Altobelli, - consiglieri provinciali e comunali, proprietarî, avvocati, medici, ingegneri, farmacisti, commercianti - insomma il fior fiore delle intelligenze e del carattere di ogni angolo della Sicilia e di altre regioni d'Italia.
Da un questore Lucchese e da quella razza di testimoni d'accusa non furono raccolte che testimonianze e prove nelle quali c'era tutto meno che la verità e la serietà; dell'una e dell'altra non traspare neppur l'ombra della preoccupazione. E la magistratura tutte le gratuite e calunniose asserzioni, tutti gli elementi innocenti accettò come prove irrefragabili della colpevolezza degli imputati; le accettò senza alcun beneficio d'inventario.
Gli elementi più serî, a prima vista, sono le lettere di Cipriani a De Felice e a Petrina; molte rimontano al 1890, al 1888; ma di tutte l'uno e l'altro fecero un minuzioso esame, che distrusse le induzioni dell'accusa, come si vedrà, non rimanendo di assodato che questo solo: Cipriani desiderava la rivoluzione.
Si parlò di un terribile appello dello stesso Cipriani ai Siciliani; ma era tanto criminoso e pericoloso che la Giustizia Sociale lo aveva a suo tempo pubblicato senza essere sequestrata e processata.
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