Nè sono le sole autorità governative a trincerarsi dietro la inviolabilità del segreto di ufficio; l'espediente per fare accettare come oro di coppella le proprie invenzioni è comodissimo e vi ricorrono anche i privati. Migliore, sindaco di Belmonte Mezzagno, ne dice tante e così grosse a carico degli imputati, negandosi a fare i nomi dei confidenti dai quali le aveva apprese, che il Tribunale si vede costretto per salvare la decenza, ad incriminarlo. Un Vernaci di Parco assicura in nome della voce pubblica che il Fascio locale aspettava comunicazioni per discendere armato a Palermo; ma incalzato dalla difesa a dare migliori prove dell'asserto conclude: Ma..... non so..... l'ho inteso a dire..... Però non mi risulta affatto.....
«Bel modo di mandare in galera i galantuomini!» esclama dalla gabbia il povero Nicola Petrina fremendo al pensiero che nella terza Italia si fosse tornati ai tempi della onnipotenza delle delazioni segrete.
Se la voce pubblica e i confidenti - risulta dal dibattimento - non sono che la espressione genuina della menzogna viene invece dimostrato a luce meridiana la provocazione poliziesca, la corruzione e la falsità di molti e gravi testimoni dell'accusa.
Premetto che tali arti nefande dei peggiori tempi del dispotismo non furono messe in opera soltanto nel processo De Felice. Un delegato di Pubblica sicurezza si traveste da detenuto per carpire rivelazioni a Molinari in carcere.
Un Macciscali, nel processo pei tumulti di Salemi, fu corrotto con promesse di denaro e d'impunità per fare false testimonianze.
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