Pico, come suggestionato, cede e la sua deposizione diviene il perno dell'accusa. È Pico che scrive a suo padre, mentre era trattenuto in questura: «Ho conferito col signor Questore; è una persona oltremodo cortese e gentile. Egli mi ha promesso che domani verso le 10 probabilmente sarò fuori e in libertà. Intanto ha fatto sì che io sia trattato bene, ecc., ecc.»
Le promesse sono invenzioni di Pico, anche colla buona intenzione di tranquillare la famiglia? No; esse portano il bollo morale della questura: Lucchese confessò innanzi al Tribunale, che lesse la cartolina prima di spedirla. E Pico, contro i regolamenti, in prigione viene chiamato col falso nome di Araldi. Ma Pico si ravvede, si pente dell'infamia commessa resta in prigione e si guadagna una condanna, che può valere a riabilitarlo.
Giorgio Laganà, è un povero sarto di Napoli, pochi giorni prima della proclamazione dello stato di assedio va a Palermo a nome degli amici del Continente per mettersi di accordo coi siciliani per la rivoluzione. Non c'erano accordi di sorta alcuna da prendere e tornato a Napoli, dopo l'arresto di De Felice e Compagni, viene ghermito della polizia, che lo induce a nuove delazioni contro il Comitato centrale dei Fasci. E Laganà accetta; e Laganà piangendo fa la storia della propria delazione innanzi al Tribunale di Napoli il 12 marzo 1894: «i delegati, che lo arrestarono, egli narra, mentre aveva fame e freddo lo rifocillarono, lo sedussero promisero e dettero soccorsi alle sue figliuole, che avevano più fame di lui!
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