«Il generale Morra s'illude molto se crede di avere salvato, coll'opera sua la Sicilia.
«A me basta notare che quando a certe opere si vogliono chiamare soldati si debbono chiamare almeno soldati che abbiano fatta veramente la loro carriera nell'esercito, vissuto la vera vita militare, assorbitene le rare e maschie virtù. E per opera come quella che in Sicilia richiedevasi, ci voleva un uomo che avesse mente e cuore per intenderla. Ecco perchè, concludo, dei due commissari, uno lascia ricordi benedetti da cuori italiani, sull'altro rimane la responsabilità dei mali che non seppe curare, degli odii e dei rancori profondi che egli lascia dietro di sè.»
E pur troppo non è questo il solo confronto che fa torto al Generale Morra: l'Italia nova dovrà ricordare con vergogna che un Satriano, domata la rivoluzione nel 1849, promulgò poco dopo editti contro l'usura e per il censimento dei demanî comunali e dei beni degli enti morali. Ciò che fece un proconsole borbonico non volle fare l'inviato dall'organizzatore principale della spedizione dei Mille. E ciò che avrebbe dovuto e potuto fare - con feroce ironia contro sè stesso - lo dice il generale Morra nella sua circolare del 12 Agosto ai Prefetti della Sicilia, nello annunziare la cessazione dello Stato d'assedio.
Gl'Italiani e la storia sono e saranno inesorabili verso il generale Morra, non solo per quello che non ha fatto, ma ancora e di più per quello che fece, poco, sì, ma cattivo assai.
Date le cause dei tumulti di Sicilia, s'intende che chi voleva fare opra degna di lode e duratura doveva porre ogni suo studio nella loro eliminazione e nella riparazione.
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