Dopo avere esposto il contenuto del trattato di Bisacquino, che fu accolto, secondo il resoconto ufficiale degli atti parlamentari, da commenti vivissimi, l'on. Crispi aggiunse:
«A dare un concetto dei proclami che si spargevano nei Comuni, ve ne leggerò uno solo che vale per tutti. (!)
«Operai! Figli del Vespro: Ancora dormite? Corriamo al carcere a liberare i fratelli! Morte al Re, agli impiegati. Abbasso le tasse. Fuoco al municipio e al casino dei civili. Evviva il fascio dei lavoratori! Quando le campane della Matrice e del Salvatore suoneranno, assieme corriamo armati al castello, che tutto è pronto per la libertà.»
«Attenti al segnale!» (Impressione.)
Prampolini. È firmato?
Crispi, presidente del Consiglio. È firmatissimo! (Ilarità).
C'è anche il nome del Comune. Tutto risulterà dal processo.»
Or bene: è falso che quell'appello sia stato sparso nei comuni dell'isola; è falso che sia stato(167) pubblicato e letto da qualcuno, meno che dal suo autore, da un delegato di P. S. e dai magistrati che se ne occuparono; è falso che fosse nonchè firmatissimo, neppure... firmato. Di vero non c'è che il nome del Comune in cui venne manipolato. Ma eccone la storia, che rappresenta un breve intermezzo comico-erotico, in questo dramma siciliano dai tragici episodî, che in un paese di uomini liberi avrebbe abbattuto il ministro.
In Petralia Soprana - provincia di Palermo - c'era un disgraziato vice cancelliere di pretura perdutamente innamorato della moglie di un agiato pastaio del luogo, certo Alessi.
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