Le conseguenze di siffatte premesse sono chiare, inesorabili: bisogna mutare l'indirizzo nella cosa pubblica non solo rispetto alla Sicilia, ma relativamente all'Italia tutta, bisogna mutare la politica doganale, la politica tributaria, la politica africana, la politica militare, e la politica estera, che su tutte le altre preme e sopratutto si percote sulla politica interna. La necessità di mutare s'impone, perchè come dice l'on. E. Giampetro: «oramai il dilemma sembra messo nettamente: o un governo avrà il coraggio di trasformare radicalmente tutto ciò che sinora si è fatto, o il paese farà da sè una completa demolizione di tutto ciò che in politica esiste.» (L'Italia al bivio, Roma 1894)
I segni precursori di questa demolizione che principia non mancano e presentano una grande analogia con quelli che nel secolo scorso precedettero lo scoppio tremendo della rivoluzione francese.
Si legga l'Ancièn règime di Tocqueville e di Taine e si vedrà che in Francia prima del 1789 come in Napoli, nelle Puglie, in Sicilia nel 1893 e nel 1894 si sente che c'è un popolo in rivoluzione latente, che aspetta l'occasione per irrompere; che questo popolo manca ancora di organizzazione e di capi, non avendo più fiducia in quelli che hanno l'autorità legale. Anche allora si gridava: «Pane, non tasse non cannoni!» ch'è il grido del bisogno, dice Taine, e il bisogno esasperato irrompe e va avanti come un animale inferocito. E i magazzini scassinati, i convogli di cereali arrestati, i mercati saccheggiati.
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