Là, in Milano, finalmente sorge tremenda accusatrice la voce di Leopoldo Notabartolo, che addita senza sottintesi in Raffaele Palizzolo il mandante dell'assassinio del padre; e solo quando la Camera dei Deputati indignata fa sentire la sua voce, che fa eco a quella di lui, i magistrati d'Italia si muovono, e presentano la domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato di Palermo, che viene con tumultuaria rapidità concessa senza discussione e conduce allo immediato suo arresto.
Cosí il processo cominciatosi a svolgere in Milano contro ferrovieri – Carollo e Garufi – si allarga e si trasforma in processo contro il deputato Palizzolo e contro la mafia. C'è di piú: il grande dramma individuale conduce al processo contro le istituzioni principali – politiche e giudiziarie, civili e militari – dello Stato. Il dramma giudiziario assurge alle proporzioni di un grande avvenimento politico, le cui conseguenze potranno tardare a maturare; ma non potranno assolutamente mancare.
Dal processo di Milano, a parte tutto ciò che può colpire Carollo o Garufi o Palizzolo, si è appreso con un senso di profondo stupore misto ad indignazione quanto segue:
1) a Palermo c'erano, e sin dai primi giorni, tutti gli elementi che si sono svolti a Milano; molti altri criminosamente furono dispersi o alterati;
2) i magistrati, i quali accennarono ad istruire seriamente il processo, o vennero allontanati da Palermo o vennero dispensati dall'occuparsene;
3) un tenente colonnello dei carabinieri impone o consiglia – si sa il valore di un consiglio dato da un superiore ad un subalterno!
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