Con ciò il grande dramma giudiziario cessò di essere l'esplicazione di un delitto comune, per quanto grandioso ed orribile, ed assunse le proporzioni di un grande avvenimento politico.
Il processo di Milano infatti non andava più a colpire i due volgari accusati e il misterioso mandante, che stava dietro a loro; divenne il processo contro una pretesa associazione, la mafia, e contro i principali istituti politici e giudiziari che si chiarirono complici della medesima o del tutto impotenti a fronteggiarla.
Il processo rivelò uno sfacelo politico e morale da fare spavento.
Un certo conforto si ebbe durante lo svolgimento della prima fase del processo, nella convinzione generale e profonda che lo sfacelo fosse limitato alla Sicilia.
Ma gli ultimi atti della Corte e del Pubblico Ministero di Milano appresero agl'italiani che c'era la solidarietà nel male tra i magistrati di Sicilia e di Lombardia, poiché i primi si rifiutarono d'incriminare la coorte dei funzionari alti e bassi, la cui falsità era stata luminosamente dimostrata dalle due stringenti ed eloquenti requisitorie dei due avvocati della parte civile, Marchesano ed Altobelli.
Il giorno 10 gennaio fu chiuso il processo contro Garufi e Carollo innanzi alle Assise di Milano; e cosí doveva essere, perché si doveva attendere le risultanze del processo iniziatosi contro Palizzolo e Fontana. Ma in quel giorno, colla impunità accordata ai falsi testimoni, cominciò nella pubblica opinione il processo contro i Magistrati di Milano. Volto al Pubblico ministero, l'on.
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