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      Altobelli potè esclamare: «Contro lo scempio della giustizia, della verità e dell'onore, non una parola sdegnosa, non una rampogna civile, non una eloquente invettiva è balzata fremente dalle sue labbra!
      «...Il procuratore generale non si è accorto che dichiarando i funzionari immuni da colpa, si preparava l'assoluzione di Palizzolo e di Fontana, perché in tutti si ribadiva il convincimento che i loro protetti non potevano essere toccati, e che essi, pur essendo in carcere, continuavano ad essere i piú forti ed a ridere e a irridere la giustizia.
      «Se domani tornando a Palermo i funzionari fossero accolti da una folla ubbriaca della riconosciuta onnipotenza dei loro capi al grido di Viva la mafia! tutti avrebbero il diritto di protestare, meno coloro ai quali risale e risalirà la responsabilità di averli lasciati impuniti».
      Conchiuse affermando che se l'impunità venisse accordata ai funzionari, che o avevano deposto il falso o avevano altre maggiori responsabilità «ci si darebbe il diritto di ripetere che la Giustizia non può essere il fondamento di certe istituzioni; ed allora il popolo saprebbe a quale via ricorrere per assicurare ad essa il rispetto ed il trionfo»(1).
      Con queste minacciose parole fu chiuso in Milano il 10 gennaio 1900 il processo contro Garufi e Carollo, accusati di avere assassinato il Comm. Notabartolo. Continuò il processo nella pubblica opinione contro un'altra accusata, la mafia, e contro una grande Regione, la Sicilia, che della prima venne dichiarata complice necessaria.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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