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      In questa definizione le tinte sono esagerate e falsate. Non sempre la mafia ha come scopo il male; talora, anzi non di rado, si propone il bene, il giusto; ma i mezzi che adopera sono immorali e criminosi. E ciò specialmente quando esplica la sua azione nei reati di sangue. È falso ancora che tutti i mafiosi rifuggano dal lavoro e traggano gli agi dalla violenza, dall'inganno e dalla intimidazione. Spesso il mafioso, per conservarsi e rivelarsi tale, dall'agiatezza passa alla miseria; spessissimo il vero mafioso è persona assai laboriosa, che ci tiene a trarre i mezzi di sussistenza dal proprio lavoro. Non di rado il mafioso che non ha commesso un reato viene processato per coprire i reati degli altri e si rovina economicamente per venire in aiuto degli amici. Il furto, la rapina, lo scopo economico del delitto sono proprio di una mafia degenerata.
      E si comprende agevolmente che questa degenerazione possa avvenire dove c'è una profonda alterazione del sentimento morale.
      Si mantiene assai piú vicino alla verità il deputato Franchetti, che studiò la Sicilia quasi contemporaneamente alla Commissione d'Inchiesta parlamentare.
      Egli scrisse: «La mafia è unione di persone di ogni grado, d'ogni professione, d'ogni specie, che senza avere nessun legame apparente, continuo e regolare, si trovano sempre riunite per promuovere il reciproco interesse, astrazione fatta da qualunque considerazione di legge e di giustizia e di ordine pubblico; è un sentimento medioevale di colui che crede di poter provvedere alla tutela ed alla incolumità della sua persona e dei suoi averi mercé il suo valore e la sua influenza personale, indipendentemente dalla azione dell'autorità e delle leggi.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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