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      Tali governi oppressori non potevano che essere odiati; e tali governi non adoperarono soltanto la violenza, ma ricorsero anche alla corruzione. Cosí scrisse un modesto siciliano, Ciotti, circa venticinque anni fa: «corrotto il governo, corrotti i suoi agenti, corrotta la pubblica forza per lunghi secoli, a poco a poco la turpitudine nelle masse vestí le forme del dovere e della virtú, si trasfuse nella lingua, negli abiti della vita ed ebbe il suo decalogo. Per questo la giustizia, l'autorità, si trovarono circondate da un generale mutismo, nel quale si riverí una vírtú».
      In questo mutismo, in questa reticenza generale, che soltanto adesso richiama l'attenzione degli smemorati governanti italiani, l'on. Damiani nella citata Inchiesta agraria fotografava con circa quindici anni di anticipo l'ambiente del processo di Milano con queste parole: «in generale si depone facilmente il falso in giudizio. Le eccezioni sono rarissime. Qualche volta per favorire un amico, tal altra per spirito di partito, non raramente per ubbidire alla mafia; si dissimula con pertinacia ed imperturbabilmente il vero stato delle cose, e con tanta solidarietà da sviare la giustizia dalla retta via e da rendere impossibile di procedere contro i falsari. Ciò conduce spesso all'impunità di molti gravi reati».
      Tutto questo è sufficiente a spiegare le conseguenze del secolare malgoverno politico rappresentato e condensato dal regime dei Borboni.
      Chi si volesse contentare delle frasi celebri per fare intendere che cosa sia stato il regime borbonico ripeterebbe il giudizio di Gladstone.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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