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      «Al centro di tale Stato di dissoluzione evvi una capitale col suo lusso e le sue pretensioni feudali in mezzo al secolo XIX, città nella quale vivono quarantamila proletari, la cui sussistenza dipende dal lusso e dal capriccio dei grandi. In questo umbelico della Sicilia si vendono gli uffici pubblici, si corrompe la giustizia, si fomenta l'ignoranza. Dal 1820 in poi il popolo si solleva spinto dal malcontento, non dalle utopie del tempo. La sua sollevazione che indubbiamente avverà potrà paragonarsi a quella dei napoletani sotto gli Aragonesi e gli Spagnuoli, quando il grido del popolo era: MUORA IL MAL GOVERNO».
      Il lettore fermi l'attenzione su questo documento di una straordinaria importanza; e ciò non solo perché con rapide e precise pennellate vi è dipinta la mafia e le sue cause e la fatalità di una rivoluzione; ma anche e piú perché piú tardi, dopo sessant'anni, sotto i Sabaudi, un altro procuratore generale teneva lo stesso linguaggio al Guardasigilli, probabilmente ignorando che aveva avuto un predecessore nel procuratore generale Ulloa!
      Intanto il mal governo continuava e lo stesso Ferdinando IIRe Bomba – fu costretto a revocare il luogotenente Marchese Ugo delle Favare «per feroce governo e per crudele e sfrenata libidine».
      Ed ora un'ultima e solenne testimonianza su quello che fosse la magistratura e l'amministrazione della giustizia quando la dinastia borbonica era già agonizzante. «Uno dei flagelli della Sicilia sono i magistrati, che manomettono la giustizia e alimentano il malcontento.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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