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      Certamente l'asserzione sembrerà audace; ed essa sarebbe contraria al vero se fosse presa alla lettera. I rapporti e gli scambi aumentati colle parti piú progredite dell'Italia continentale e coll'estero; le molte scuole aperte, per quanto ancora insufficienti; i telegrafi, le ferrovie, le strade e sopratutto i giornali e i libri hanno esercitato la loro azione: hanno destato molte coscienze; e dove le circostanze e l'opera di alcuni uomini l'hanno consentito, un sensibile miglioramento è avvenuto.
      Questo miglioramento economico-sociale sarebbe stato di gran lunga maggiore, se il censimento dei Beni dell'Asse Ecclesiastico – considerevolissimo in Sicilia perché dalla cacciata dei Saraceni in poi le corporazioni religiose, ininterrottamente, avevano accumulato circa un miliardo di proprietà fondiaria che non subí mai alcuna confisca – fosse stato fatto come voleva Garibaldi nel 1860, con criteri sociali e non si fosse ridotto ad una spoliazione della Sicilia a beneficio del Fisco rapace.
      Là dove bisognava dividere il latifondo dando la terra ai contadini – e il fatto spesso non sarebbe stato che una doverosa restituzione – lo si lasciò accaparrare da una borghesia avida, che aveva tutte le brame del capitalismo senza possederne i mezzi e la larghezza delle vedute; e da una aristocrazia, che nei vizi e nell'ozio aveva sciupato le antiche proprietà e che cercò rimpannucciarsi acquistando i beni dei frati e delle monache e diventando con ciò liberale per forza d'interessi: com'era avvenuto in Francia coi Beni nazionali.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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