In questo tempo i Bommarito e i Palazzolo contribuivano uniti a fare dei doni al signor Serpi, cui si spedivano per mano del promesso sposo che ne assumeva il mandato. Non istette molto ad avvedersi il Palazzolo della impossibilità di essere amato dalla Annetta Bommarito e, mossane lagnanza ai di lei parenti, corse a Palermo. Due giorni dopo la di lui partenza il Serpi scrisse al padre della giovane la seguente lettera:
«"Per un affare importantissimo che riguarda direttamente lei e i suoi parenti, è necessario che, al ricevere la presente, si rechi in questa da me. Se ritardasse altri cinque giorni si potrebbero verificare delle cose disgustose. – Palermo 6 agosto 1863". Ricevuta appena questa lettera, Vito Bommarito partí da Favarotta ed arrivò la dimani alla presenza del Serpi, ove ebbe presso a poco a sentire le seguenti parole:
«"Sapete voi che dovete a me la vostra libertà? Sapete che ho fatto io finire il processo? E che io sono responsabile in faccia al governo del matrimonio di vostra figlia? Voi avete impegnato con me una parola dalla quale non potete rivenire, intanto voi e vostra moglie avete dissuaso vostra figlia a sposare".
«E, alle risposte del Bommarito che asseriva come spontanea la ripugnanza della sua figlia a sposare il Palazzolo e come egli e la madre non avessero risparmiato opera per indurvela, il Serpi rispondeva: "Ma badate che può entrare nelle conseguenze di questo diniego che si ripiglino i processi per mia opera sospesi". A queste minacce il povero padre rispondeva che avrebbe portato la ragazza alla presenza del generale per vedere se la di lui autorità avesse potuto indurvela ed il Serpi, accettando questo partito rispondeva: "Ebbene portatela presto in Palermo colla madre". E il Bommarito appena dopo otto giorni recava alla di lui presenza questa vittima sciagurata.
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