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      Dunque all'indomani dell'insurrezione del 1866 in Palermo e in gran parte della Sicilia ci troviamo colla mafia potente e colla giustizia civile e militare esautorate. È la confessione di un alto Magistrato!
      Era facile prevedere che anche i funzionari intelligenti e bene intenzionati – lo furono i prefetti Gerra, Zini, Rasponi, ecc. – dovevano riuscire impotenti a modificare rapidamente uno stato di cose anormale, perché circondati dalla diffidenza e dall'odio delle masse; non assecondanti dalle inerti ed egoistiche classi dirigenti. Rimanevano isolati, assolutamente impotenti.
      Il governo, intanto, volle rapidamente trasformare l'ambiente e per distrurre il male da esso stesso fatto, immemore della sentenza del ministro Cordova che dichiarava inadatti i militari al governo civile, mandò in Sicilia il generale Medici, armato in fatto, se non legalmente, di pieni poteri. Mandò un generale, che per restaurare l'imperio della legge violò tutte le leggi; che per restituire la fiducia nella giustizia affidossi all'iniquità!
      Per descrivere il periodo del regime militare sotto il generale Medici lo storico dovrebbe essere raddoppiato dall'artista; ma se manca lo storico artista, ci sono i fatti che colla loro eloquenza mettono alla gogna il governo italiano; c'è infine la parola tagliente e fredda del magistrato; quella del procuratore generale Tajani.
      Questo magistrato mandato da Catanzaro a Palermo nel 1868 si accorse subito che i suoi dipendenti e le autorità di pubblica sicurezza seguivano metodi non solo inadatti e contrari al buon funzionamento della giustizia, ma addirittura criminosi e che dovevano aggravare terribilmente il perturbamento morale della regione.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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