E allontanatosi da Palermo il Tajani continuarono le cose per la stessa china; tanto che il suo successore nel discorso inaugurale del 1874 fa una tremenda requisitoria contro la pubblica sicurezza, «che era protettrice dei volgari delinquenti».
Il grave in tutto questo è che non si tratta di casi isolati. No; il Tajani in una lettera al ministro Guardasigilli (25 novembre 1869) lo avverte: «i fatti che ho riferiti e gli altri che potrò riferire non sono fatti isolati, ma sono conseguenze di un sistema nel quale la morale e la giustizia non entrano in grandi dosi... ».
Poteva dire che non entravano né in grande, né in piccola dose e che fossero la negazione della giustizia. C'era ancora di peggio: questo sistema senza giustizia non si esplicava soltanto in Sicilia, ma aveva i suoi complici nel governo centrale a Firenze e poi a Roma.
Infatti non solo sappiamo che nel processo contro il questore di Palermo il contegno del ministero fu tale da costringere il Tajani a dimettersi ma si apprende che il governo voleva assolutamente l'impunità dei funzionari come si rileva da queste lettere scambiatesi tra procuratore generale e ministro di Grazia e Giustizia a proposito della liberazione dell'accusato dell'alta crème ordinata dal generale Masi e per lui dal prefetto di Girgenti di cui si fece cenno.
Il procuratore generale scriveva: «L'autorità giudiziaria di questo distretto ben molte concessioni fa all'autorità politica e attingendo di continuo nel proprio patriottismo quella prudenza tanto necessaria in luoghi e tempi eccezionali, ha tollerato assai.
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