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      Alcuni che non conoscono la storia recente – e pur troppo tra questi non mancano i rappresentanti della stessa Sicilia – vedendo che la mafia non spadroneggia nella provincia di Messina, quasi spiegano il fenomeno colle fantastiche differenze di razza tra la parte orientale e settentrionale e quella meridionale ed occidentale dell'isola. La verità è diversa. Nella provincia di Messina ci sono già condizioni economiche, demografiche e commerciali che potrebbero spiegare il fenomeno: ma c'è stato dell'altro.
      Tra il 1860 e il 1870 la città e una parte della provincia di Messina erano perturbate dalle associazioni dei malfattori. In città l'associazione dei cosidetti sparatori; nei villaggi vicini la banda Cucinotta. La mafia in città, il brigantaggio alle porte. Per alcuni anni le due associazioni vissero e prosperarono all'ombra della protezione di talune autorità, della negligenza di tutti i prefetti, questori, magistrati e ufficiali di polizia.
      Un questore ebbe la geniale idea – che già sappiamo pullulata e fecondata nel cervello del generale Medici e di altri suoi predecessori e successori – di distruggere la mala vita aiutando taluni malfattori contro altri. Le conseguenze del sistema insipiente e immorale furono a Messina quale erano state a Palermo: la mafia protetta finì per spadroneggiare e furono inquinati gli uffici tutti: questura, corpo dei militi a cavallo (ex-compagni d'armi), prefettura e magistratura.
      Si uccideva nelle vie piú frequentate della città – e la Pubblica sicurezza nulla sapeva mai; non indagava; non arrestava.


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La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi
(1860-1900)
di Napoleone Colajanni
pagine 91

   





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