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Piaccia a Dio che a la elezione di V. Signoria e a lo ardentissimo desiderio mio del bene obedire e piacere, l'opera risponda. Io volontieri ho assunto tal provincia, e se bene confesso tali istorie essere intricatissime e varie e disperse, e per questo laboriose e moleste a ridurle ad ordinata narrazione, nondimeno il farlo volontieri e dilettarmi ne l'opera pel studio di piacere, ogni fatica mi fará leggera.
Veramente, illustrissimo Signore, le mutazioni de li stati e la varietá de' governi a niuna parte d'Italia piú famigliare a' dí nostri esser si vede, che a quella che regno di Napoli è chiamata: onde pare che fatal sia a quelle provincie che in essa si contengono avere non che spesso, ma sempre, tirannie, sedizioni, perfidie, rebellioni, guerre, eversioni di cittá, rapine e incendi, e tutte le altre calamitá che da l'avarizia e ambizione, vere produttrici di tal peste, proceder sogliono. Il che non solo a' tempi nostri veggiamo, e per la presente istoria in piú modi si comprenderá, ma ancora ne li tempi vetustissimi esserli stato sí peculiare leggiamo, che Strabone, scrittore e geografo greco, dice non per altra cagione li poeti aver finto ne li Campi Flegrei, che sono in Terra di Lavoro giá detta Campania, esser state le battaglie e gesti dei giganti, se non perché quella regione di sua proprietá è disposta a muovere e concitare le guerre. E appresso Tito Livio, Publio Sulpizio console romano, volendo deliberare la spedizione contra Filippo II re di Macedonia, dice che tanto stanno questi regnicoli senza rebellione, quanto non hanno a chi rebellarsi, e in un altro loco dice la perfidia essere ingenita e naturale a quelli di Campania.
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