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E non č dubbio che Federico arķa fatto grandissime cose, se 'l comun fine de li uomini in quell'anno infelice e avverso non vi si fusse interposto, contra l'opinione e credere suo; perņ che essendo ancor fresco di etį e vigoroso, era persuaso non aver a morire altrove che in Fiorenza, ovvero territorio fiorentino; e perņ nel prossimo suo ritorno qual fece di Toscana in Puglia, schivņ il paese fiorentino, essendo premonito da un divinatore, il qual diceva avere colloquio con un spirito, che l'aveva a morire in Fiorentino. Onde infermato gravemente di febre in un castelletto sei miglia lontano da Luceria in Puglia, chiamato Fiorentino, come quello che era di acutissimo ingegno e ben sensato, ricordandosi del prognostico e di questo nome Fiorentino, cognoscette il fine suo essere venuto. Per la qual cosa prima si ridusse in colpa e in man de l'arcivescovo di Palermo e molti altri religiosi, con consiglio ancora di uomini prudenti, si pose ne le mani di Santa Chiesa, giurando di stare e obedire ad ogni comandamento di essa. E secondo il rito cristiano si confessņ con tanta contrizione, che scrive Mainardino vescovo di Imola, il quale ridusse in scritto molte cose di Federico, che per tale confessione si puņ credere che 'l fusse vaso eletto da Dio: e Guglielmo da Podio scrive ne le sue Croniche e riferisce il Dandolo ne la sua Istoria, che dolendosi de li errori suoi a la morte Federico, fece proibizione a li suoi del fare le esequie onorate e pompose, secondo il costume imperiale.
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