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E lí furono menati sopra li panni distesi Corradino e il duca d'Austria e il conte Gerardo da Pisa, che fu capitano de' toscani ne la battaglia, e un cavaliero todesco pur preso in battaglia, chiamato Urnaiso, e don Enrico di Castiglia. Appresso questi furono menati ancora quattro, Riccardo Rebursa, Giovanni da la Grutta, Marino Capeccio e Ruggiero Busso, in grandissima frequenza di popolo, non solo di napolitani e francesi, ma di tutte le terre vicine, che erano concorse a sí crudele spettacolo: il quale vide ancora il re Carlo, benché stesse lontano ad una torre, mirando tutto quello si faceva. Montò poi sopra un tribunale fatto per questo messer Roberto da Bari protoscriba del re Carlo e lesse la sentenza contra li predetti nove prigioni, condannandoli tutti a la morte, eccetto don Enrico di Castiglia, il quale condannò a carcere perpetuo; e questo per osservare la fede data a lo abbate che lo prese, il qual volse promissione che di lui non ne faria vendetta di sangue. Li capi de la sentenza furono questi: per aver turbato la pace de la Chiesa, per avere assunto il nome falso di re di Napoli, per avere voluto occupare il regno di Napoli, per avere intentato la morte del re Carlo. Queste furono le cause principali de la condannazione sua lette ne la sentenza.
Data la sentenza, scrive un iurista napolitano di quelli tempi che a colui che pronunciò la sentenza Corradino disse: - Servo ribaldo, servo ribaldo, tu hai condannato il figliuolo del re, e non sai che un pari contra l'altro suo pari non ha imperio alcuno; - parlando in lingua latina.
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