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- E parlava in pubblico, che era venuto per liberarla da la servitú del gran siniscalco e da l'avarizia di Cristoforo Gaetano conte di Fondi: questo a tutto il popolo piaceva, vedendo che altro tumulto né pericolo per la venuta di Sforza non succedeva e che del bene de la regina e de la terra si trattava per Sforza. Ma essendo molta turba andata al castello, come in su'l rumore accadere suole, la regina a tutti diceva: - Popolo mio fedele, amici miei e di casa di Durazzo, andate, andate, ammazzate Sforza, mio inimico: squartate il villano e il traditore; - e simili altre parole. Il perché concitato il popolo e invitato ancora da la speranza del guadagno, assaltò Sforza a l'improvviso, che questo non credea; onde constretto da l'impeto, si ridusse a le Corregge e fu maltrattato e rotto con perdita di piú di seicento cavalli. Pur sviluppato da la furia, per via di Piedegrotta uscí fuora e salvossi a la Cerra, e rimesse insieme le sue genti d'arme, ogni dí correva a Napoli, guerreggiando aspramente il paese e protestando sempre che qualunque volta fussino cacciati li traditori e quelli che mal governavano lo stato e le cose de la regina, lui saria a Sua Maestá e a tutto quel popolo quel vero amico e servitore che fu mai.
I napolitani in questo modo ristretti, di comune consentimento, il che raro in quella terra solea accadere, elesseno alcuni uomini tra loro, che avessino a provvedere a questi mancamenti e danni de la terra. Questi eletti e con minacce e con preghiere tanto feceno, che indusseno la regina a far pace con Sforza e restituirli la dignitá del grancontestabilato e scrivere per tutta Italia il contrario di quello aveva scritto contra Sforza; e per giuramento si obligorono l'un l'altro non dare udienza ad alcuno che volesse poner male tra loro, anzi ogni parola riferirsi l'un l'altro.
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