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E per osservazione di questo diede la regina il Castel nuovo in potere di messer Francesco de li Riccardi da Ortona, uomo grave e integro, amicissimo e fedele de l'una e de l'altro, con commissione che in detto castello, senza alcuna differenza, cosí lasciasse entrare Sforza come la regina. Il che fatto, il gran siniscalco fu relegato a Roma e il conte Iacomo per intercessione di papa Martino allora pontefice, fu liberato da la regina, con li primi patti che lei ritenesse il dominio e titolo di regina, e lui il nome di conte solamente.
Liberato Iacomo ad altro non attese, che a l'esterminio di Sforza, e la regina, che, per l'esilio del gran siniscalco trafitta, di altro non aveva desiderio e sete che di vendetta contra Sforza, li consentiva e giá la maggior parte de li baroni aveva fatto contra Sforza congiurare. Sforza, inteso il gran suo pericolo di tal cosa e cercando di rimedio, per consiglio di Giovanni di Ercolan da Fiorenza, suo fidato e buon capo di squadra (che li disse che facendo Sforza cessar la causa, per la quale la regina si teneva offesa, cessaria ancora il suo pericolo), si intromise con destro modo ad esser causa che 'l gran siniscalco tornasse, ché maggior beneficio né di piú obbligazione potea fare a la regina. E cosí fece, e per assicurarsi da esso, volse per ostaggi dui figliuoli de' suoi. Il conte Iacomo, veduta la reduzione del gran siniscalco e la reconciliazione di Sforza, dubitando non esser qualche volta scoperto da la regina, fingendo andare spesso a la marina a piacere, condusse una nave genovese che in porto si trovava e tacitamente montatovi, andò a Taranto.
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