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L'altre navi, che la sorte del re non sapevano, aspramente combattevano, e in fine rotte l'antenne de la Figaretta, il re di Navarra ancora, chiamando pace, si rendette. Prese le due navi e li dui re, cominciorno li catalani ad esser inferiori, e finalmente furono rotti e a' genovesi si détteno appresso la sera, essendo durata dieci ore la battaglia; né cosa alcuna tanto valse a questa vittoria, quanto la improvvisa furia de le tre navi e le pallotte di calcina viva, le quali in gran copia spargeano le navi genovesi, che gli occhi e la vista, massimamente a le genti d'arme italiane insuete a battaglie navali, toglievano. Di tanto numero di navi di Alfonso una sola per forza di vento levatasi dal fatto d'arme campò, e di uomini notabili sol dui si salvorono: don Piero infante, che calatosi per una corda in una galea espedita si partí, e Antonio Colonna, che similmente in una galea nel campo terrestre a Gaeta fuggí.
Finita la battaglia con tanta gloria de' genovesi, ciascuno presentò li suoi prigioni al capitano: messer Iacopo Iustiniano il re Alfonso, messer Galeotto Lomellino il re di Navarra, messer Cipriano da Mare don Enrico maestro di San Iacopo; cento uomini illustri e piú furono presi, tra li quali li primi Giovanni Antonio Ursino principe di Taranto, Giovanni Antonio da Marzano duca di Sessa, Iosia d'Acquaviva, Antonio figliuolo del conte Ruggiero di Fondi, Nicolò Speciale vice re di Sicilia, Diego conte di Castro in Castiglia, Giovanni maestro d'Alcantara, e poi conti, cavalieri e dottori, uomini d'arme e gente d'ogni sorte al numero di quattromila cinquecento e piú. Morti da la parte di Alfonso circa seicento, da la parte de' genovesi circa cencinquanta, benché alcuni di minor numero da ogni parte scrivano; la robba guadagnata quanta fusse, si lascia in estimazione di quelli che possono pensare qual doveva essere l'ornato e le delizie di tanto re e di sí nobile esercito.
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